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Il suffisso, in linguistica, è un elemento che è posto alla fine di un tema o di una radice per formare una parola. Esso può anche aggiungersi a una parola già compiuta, formando, per derivazione, una parola suffissata (suffissazione).
È possibile unire più suffissi ed è molto produttivo anche il processo di parasintesi, che forma nuove parole aggiungendo più affissi, per esempio un prefisso e un suffisso.
Nella lingua italiana vi possono essere diversi tipi di suffisso, che prendono nomi diversi a seconda della modifica che apportano alla parola; avremo così:
inoltre i suffissi possono essere classificati in base a specifici tratti di senso secondari che danno alla parola:
Infine, quando ci si riferisce a nomi che derivano da verbi, o a participi passati, si dice che questi sono a suffisso zero se si formano senza suffisso, ovvero se alla radice è aggiunta direttamente la desinenza. Alcuni linguisti parlano in tal caso di conversione.
Un suffissoide[1], termine introdotto dal linguista Bruno Migliorini,[2] è un morfo (spesso di lingua greca o latina) con la stessa funzione del suffisso, ma a differenza di questo avente, in origine o attualmente, significato compiuto anche come parola autonoma. Come il suffisso, il suffissoide che si aggiunga a una parola già esistente forma una nuova parola per composizione. All'opposto, un prefissoide è un morfo dal valore semantico autonomo che ha funzione di prefisso. Un'altra terminologia non distingue tra prefissoide e suffissoide ma utilizza il termine unico di confisso.
Esempi di suffissoidi sono: (-)grafia: "avere una bella grafia" o "calligrafia"; (-)mania, (-)teca, e quelli dalla varia polisemia come (-)geno (-)genia (-)gene ecc[3].
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