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Nato il 12 gennaio del 1906 a Kaunas, in Lituania, Emmanuel Lévinas iniziò adolescente la sua formazione intellettuale attraverso lo studio della tradizione ebraica[6] e dei classici della letteratura russa, quali Puškin, Turgenev, Lermontov, Dostoevskij, Gogol' e Tolstoj[7][8].
Nel 1917, all'età di undici anni, visse le vicende della rivoluzione russa a Charkiv, in Ucraina[8]. Trasferitosi nel 1923 in Francia, frequenta l'Università di Strasburgo, seguendo i corsi di Charles Blondel e Halbwachs[6]. A partire dal 1928-1929, Lévinas si reca presso Friburgo per ascoltare le lezioni di Husserl, ma – racconta l'Autore – ivi trovò Heidegger[10]. Nel 1929, inoltre, presenzia ai seminari di Davos, assistendo al confronto fra Heidegger e Cassirer[11]. Ultimato, nel 1930, il dottorato di ricerca con una tesi intitolata La teoria dell'intuizione nella fenomenologia di Husserl (La théorie de l'intuition dans la phénoménologie de Husserl), questa sarà pubblicata lo stesso anno, concorrendo alla diffusione della fenomenologia husserliana in Francia[6]. Nell'ambiente della Sorbona stringe i suoi rapporti con Wahl (già suo relatore di tesi[12]), Marcel, che lo invita alle sue riunioni del sabato sera, e con la giovane avanguardia[8].
A partire dal 1931 risiede a Parigi, dove insegna all'École normale israelite orientale (assumendone la direzione dal 1946 al 1961[14]), acquisendo convintamente la cittadinanza francese[6][15]. Ivi ha modo d'incontrare Lacan, Merleau-Ponty, Aron, e di frequentare le importanti lezioni di Kojève[6][16]. Nel 1932, Lévinas faceva tappa in Lituania per convolare a nozze con Raïssa Lévy[17], dalla cui unione nasceranno due figlie femmine, Simone e Andrée Éliane (quest'ultima, prematuramente scomparsa), e un maschio, Michaël[18]. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1939, Lévinas, chiamato alle armi, è catturato dai nazisti e condotto in un campo di concentramento col numero 1492[6][19]. Durante gli anni di deportazione, periodo in cui l'Autore perdette quasi tutti i suoi congiunti (la moglie si salvò solo perché trovò rifugio in un convento di suore cattoliche[19]), Lévinas mise insieme delle annotazioni, che saranno pubblicate postume, nel 2009, col titolo di Quaderni di prigionia (Carnets de captivité)[20]. Dell'esperienza dell'orrore nazionalsocialista dirà: «Fummo spogliati della nostra pelle di uomini. Non eravamo altro che una congerie di esseri inferiori. La mia biografia è dominata dal ricordo dell'abominio nazista»[19].
Tornato in Francia, prese a collaborare con Wahl al Collège Philosophique, ove presenterà, tra il 1946 e il 1947, le quattro conferenze dedicate ai temi de Il Tempo e l'Altro (Le Temps et l'Autre)[21], e, dal 1957, inizia le letture e i commenti del Talmud ai Colloques des Intellectuels Juifs de Langue Française[22], sulla scorta dell'insegnamento di Chouchani[23]. Lontano dagli -ismi coevi (esistenzialismo, marxismo), Lévinas non aderì al movimento comunista, in quanto – sosterrà l'Autore – «rimanere non comunista significava conservare la propria libertà di giudizio in uno scontro di forze»[12] (dopo la fine dell'esperienza del socialismo reale, tuttavia, Lévinas dichiarerà, in un'intervista rilasciata alla Spinelli, che il comunismo, «nonostante tutti gli eccessi e gli orrori, [...] rappresentava pur sempre un'attesa. Attesa di poter raddrizzare i torti fatti ai deboli, attesa di un ordine sociale più giusto»[24]). Critico nei confronti dello strutturalismo, concentrandosi quest'ultimo sull'elemento incidentale della forma, e trascurando il senso (alla cui origine, invece, «sta la Parola di Dio»[25]), Lévinas si oppone a Lévi-Strauss, il cui saggio, Tristi tropici, è definito come «il libro più ateo scritto ai nostri giorni, il libro assolutamente disorientato e più disorientante»[12]. All'indomani delle contestazioni del 1968, l'Autore dichiarerà la propria distanza da quel fenomeno che sembrava aver condannato tutti i valori come prodotti borghesi («Nel 1968, avevo l'impressione che tutti i valori fossero messi in forse come borghesi. Era impressionante. Eccetto uno: Altri»[14]).
Nel 1961, frattanto, vede la luce il capolavoro lévinasiano, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità (Totalité et Infini. Essai sur l'exteriorité), e, fra il 1964 e il 1976, insegna nelle università di Poitiers (1964 – 1967), di Paris-Nanterre (1967 –1973) e alla Sorbona (1973–1976)[14].
Insignito nel 1989 del Premio Balzan[3] per la Filosofia, Lévinas muore a Parigi nel 1995 (sarà dipoi tumulato nel cimitero parigino di Pantin e ricordato da Derrida[26]), concludendo una lunga carriera intellettuale che lo fece considerare una «delle alternative più geniali ed affascinanti, da un lato, alla crisi dei sistemi totalizzanti ogni forma di senso, come lo storicismoidealistico e quello marxistico, e, dall'altro, alle tentazioni post-moderne della messa in questione e/o la frantumazione di ogni possibile senso, come nel nietzschianesimo, nello strutturalismo, nel decostruzionismo» (Ferretti[27]), risultando essere uno «dei filosofi essenziali [della] fine del secolo ventesimo» (Salomon Malka[14]).
Filosofia
Emanuele Severino ricorda Lévinas
«Mi sembra che, con Gadamer, Emmanuel Lévinas sia stato, tra i filosofi che ho conosciuto, quello che mi è riuscito più amabile. La distanza tra i nostri due linguaggi è, ovviamente, incolmabile. Una ventina d'anni fa, in una tavola rotonda a due, a Bergamo, ci trovammo però d'accordo nel riconoscere, in termini appropriati, questa incolmabilità. Per esprimermi in maniera semplice: lui vede nell'essere la radice della violenza; nei miei scritti si mostra che tale radice (che è insieme la radice dell'errare) è la negazione dell'essere. Quando sosteneva il nostro esser-per-l'altro – cioè la nostra responsabilità di fronte all'altro, il nostro essere ostaggio dell'altro, la primarietà dell'etica ecc. – si arrabbiava molto con chi gli dava torto (ed era plausibile che anche l'altro si arrabbiasse), e non gli sto certo rivolgendo una critica filosofica. Ma quando non parlava di filosofia (almeno questa è la mia esperienza) era amabilmente mite e disarmante»[28].
«La morte dell'altro uomo mi chiama in causa e mi mette in questione, come se io diventassi, per la mia eventuale indifferenza, il complice di questa morte, invisibile all'altro che vi si espone; e come se, ancora prima di esserle io stesso destinato, avessi da rispondere di questa morte dell'altro: come se dovessi non lasciarlo solo nella sua solitudine mortale.»
(E. Lévinas-A. Peperzak, Etica come filosofia prima [1989], trad. it. di F. Ciaramelli, Guerini e Associati, Milano 2001, III, 4, p. 56.)
L'etica come filosofia prima
La riflessione lévinasiana trae le mosse dalla ridiscussione della centralità dell'interrogativo circa l'essere: «Essere o non essere – è proprio questo il problema? È proprio questa la prima e l'ultima questione? L'essere umano consiste davvero nello sforzarsi d'essere e nella comprensione del senso dell'essere – la semantica del verbo essere – è davvero la prima filosofia che s'impone a una coscienza, la quale sarebbe fin dall'inizio sapere e rappresentazione, e manterrebbe la propria baldanza nell'essere-per-la-morte, si affermerebbe come lucidità di un pensiero che pensa sino alla fine, sino alla morte e persino nella sua finitudine – già o ancora buona e sana coscienza che non s'interroga sul suo diritto d'essere – sarebbe o angosciata o eroica nella precarietà della sua finitudine?» (Etica come filosofia prima, III, 6[29]). Lévinas, infatti, critica la tradizione filosofica occidentale che ha considerato l'ontologia come filosofia prima, consistendo quest'ultima nella «conquista dell'essere da parte dell'uomo attraverso la storia», ossia nella «riduzione dell'Altro all'Identico» (Ivi, II, 1[30]). Nel misconoscimento dell'insostituibilità d'Altri («l'unicità non-intercambiabile»[31]), cioè nella sussunzione «sotto un concetto» dell'essere estraneo, «si dissolve l'alterità dell'Altro»[32]. La vita della coscienza – scrive l'Autore – è sapere, «una relazione del Medesimo con l'Altro in cui l'Altro si riduce al Medesimo e si spoglia della sua estraneità, in cui il pensiero si rapporta all'altro, ma in cui l'altro non è più altro in quanto tale, in cui è già proprio, è già mio»[33]. La coscienza, lo psichismo, il sapere («la cultura dell'immanenza»[34]), sono le qualità del Dasein (perché – avverte Lévinas – l'Esserci heideggeriano è il sostituto dell'anima e dell'Io[35]), che è libertà[36] e autonomia[37]. Altri, invero, – si legge in Totalità e Infinito – «viene da una dimensione di maestosità»[38], di trascendenza, sicché sfugge alla «meravigliosa autarchia dell'Io»[39], offrendosi invece nell'epifania del volto (la cui espressione è «invito a parlare a qualcuno»[40]). Volto che nella «franchezza assoluta del suo sguardo»[41] convoca il Sé, come fosse un ostaggio, alla propria responsabilità, e questa – conclude il filosofo lituano – è forse solo «un nome più forte per dire l'amore»[42]. Davanti ad Altri, infatti, il Sé si tira indietro[43], giacché si è responsabili della solitudine mortale del prossimo prima di aver da essere[44]. In questa irruzione dell'umano nell'ontologico[42] si concentra il senso della speculazione filosofica del Lévinas, il quale afferma l'etica come filosofia prima, ovverosia la posizione di un Io che, pascalianamente[45], «all'apice della sua incondizionata identità, può pure confessarsi io detestabile»[46].
Il volto dell'Altro
La filosofia lévinasiana assegna, come già segnalato, grande importanza all'epifania del volto dell'Altro, la quale – osserva l'Autore in Umanesimo dell'altro uomo – «è visitazione»[47] e vita («l'epifania del viso è vivente»[47]), non già mero fenomeno[48] (che, invece, è «immagine, manifestazione prigioniera della sua forma plastica e muta»[47]). L'epifania del volto è, infatti, coinvolgimento immediato nell'etico[49]. Epifania sottratta a ogni tematizzazione e oggettivazione, giacché «il volto non viene conosciuto», essendo il suo senso precedente ogni conferimento di senso da parte del Sé (Sinngebung[50]). La nudità del volto tramite cui l'Altro si rivela al Sé (la «nudità dignitosa»[51]) esprime una «povertà essenziale»[51], perché è esposizione alla minaccia cui potrebbe incorrere (è «come se ci invitasse a un atto di violenza»[51]), e tuttavia essa comanda di non uccidere[52]. L'incontro col volto d'Altri, nella sua obbligante indigenza, «conduce al di là»[53], «fa uscire dall'essere in quanto correlativo di un sapere»[53], è l'evento che permette il venire all'idea di Dio[54]. L'espressione del volto dell'Altro, inoltre, «impegna a far società con lui»[40], è «appello dell'uno all'altro»[40], giacché «il volto parla»[53]. Il volto, dunque, è condizione di ogni discorso, e nel dialogo, inteso come un rispondere, ossia un essere responsabili per qualcuno, si dà l'autentica relazione[55].
Emmanuel Lévinas, Parola e silenzio e altre conferenze inedite al Collège Philosophique, Milano, Bompiani, 2012, ISBN978-88-452-7097-0.
Emmanuel Lévinas, Quaderni di prigionia e altri inediti, a cura di Silvano Facioni, Milano, Bompiani, 2011, ISBN978-88-452-6686-7.
Emmanuel Lévinas, Alterità e trascendenza, traduzione di Simone Regazzoni, Genova, Il Melangolo, 2006, ISBN978-88-7018-613-0.
Emmanuel Lévinas, La traccia dell'altro, Napoli, Pironti, 1979, ISBN non esistente.
Emmanuel Lévinas, Dell'evasione, commento e note di Jacques Rolland, Napoli, Cronopio, 2008, ISBN978-88-89446-36-2.
Emmanuel Lévinas, Etica e infinito. Il volto dell'altro come alterità etica e traccia dell'infinito, traduzione di Emilio Baccarini, Roma, Città Nuova, 1984, ISBN978-88-311-0066-3.
Emmanuel Lévinas, Dal sacro al santo. La tradizione talmudica nella rilettura dell'ebraismo post-cristiano, traduzione di Ornella Maria Nobile Ventura, Roma, Città Nuova, 1985, ISBN978-88-311-0068-7.
Emmanuel Lévinas, L'aldilà del versetto: letture e discorsi talmudici, a cura di Giuseppe Lissa, Napoli, Guida, 1986, ISBN non esistente.
Emmanuel Lévinas, Dall'esistenza all'esistente, premessa all'edizione italiana di Pier Aldo Rovatti, traduzione dal francese di Federica Sossi [1986], Bologna, Marietti, 2019 [1947], ISBN978-88-211-1209-6.
Emmanuel Lévinas, Fuori dal soggetto, traduzione di Francesco Paolo Ciglia, Genova, Marietti, 1992, ISBN978-88-211-8656-1.
Emmanuel Lévinas, Alcune riflessioni sulla filosofia dell'hitlerismo, traduzione di Andrea Cavalletti e Stefano Chiodi, introduzione di Giorgio Agamben, con un saggio di Miguel Abensour, Macerata, Quodlibet, 1996, ISBN978-88-86570-23-7.
Emmanuel Lévinas, Dio, la morte e il tempo, Milano, Jaca Book, 1996, ISBN978-88-16-40419-9.
Emmanuel Lévinas, Di Dio che viene all'idea, a cura di Silvano Petrosino, traduzione di Giulio Zennaro, Milano, Jaca Book, 2007 [1986], ISBN978-88-16-40171-6.
Emmanuel Lévinas, Nell'ora della nazioni. Letture talmudiche e scritti filosofico-politici, a cura di Silvano Facioni, Milano, Jaca Book, 2000, ISBN978-88-16-40533-2.
Emmanuel Lévinas, La teoria dell'intuizione nella fenomenologia di Husserl, a cura di Silvano Petrosino, Milano, Jaca Book, 2002 [1930], ISBN978-88-16-40608-7.
Emmanuel Lévinas, Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, a cura di Silvano Facioni, Milano, Jaca Book, 2004, ISBN978-88-16-40649-0.
Emmanuel Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza, traduzione di Silvano Petrosino e Maria Teresa Aiello, introduzione di Silvano Petrosino, Milano, Jaca Book, 2011 [1974], ISBN978-88-16-40112-9.
Emmanuel Lévinas, Quattro letture talmudiche, a cura di Alberto Moscato, Genova, Il Melangolo, 2008, ISBN978-88-7018-393-1.
Emmanuel Lévinas, Martin Buber, traduzione di Corrado Armeni, Roma, Castelvecchi, 2014, ISBN978-88-6826-181-8.
Emmanuel Lévinas, Nomi propri, traduzione di Corrado Armeni, Roma, Castelvecchi, 2014, ISBN978-88-6826-072-9.
Emmanuel Lévinas, Umanesimo dell'altro uomo, introduzione e traduzione di Alberto Moscato, Genova, Il Melangolo, 1985 [1972], ISBN88-7018-068-9.
Emmanuel Lévinas e Philippe Nemo, Etica e Infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, a cura di Franco Riva, traduzione di Maria Pastrello e Franco Riva, Roma, Castelvecchi, 2012 [1982], ISBN978-88-7615-811-7.
Emmanuel Lévinas e Bernhard Casper, In ostaggio per l'Altro, a cura di Adriano Fabris, Pisa, Edizioni ETS, 2012, ISBN978-88-467-3283-5.
Emmanuel Lévinas, Il Tempo e l'Altro, a cura di Francesco Paolo Ciglia, Il Melangolo, 1997, ISBN978-88-7018-056-5.
Emmanuel Lévinas, Trascendenza e Intelligibilità, a cura di Franco Camera, 2ª ed., Genova-Milano, Marietti, 2009 [1984], ISBN978-88-211-8818-3.
Emmanuel Lévinas e Adriaan Peperzak, Etica come filosofia prima, a cura di Fabio Ciaramelli, Milano, Guerini e Associati, 2001 [1989], ISBN978-88-7802-112-9.
Emmanuel Lévinas, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità, traduzione di Adriano Dell'Asta, introduzione di Silvano Petrosino, Milano, Jaca Book, 1980 [1961], ISBN non esistente.
«Avevamo ricevuto, a Palermo, il Premio Nietzsche, consistente in una grossa medaglia d'oro, e Lévinas, tornando al suo posto in prima fila [...] l'aveva addentata [...] come se dovesse accertarsi che fosse d'oro davvero»
«Lévinas fu tra coloro che nella primavera del 1929 assistettero alla memorabile disputa tra Heidegger e Cassirer alle settimane universitarie di Davos. Il tema in discussione era Kant. In realtà era in gioco ben altro. Si affrontavano le due star filosofiche dell'epoca: il rappresentante più autorevole della filosofia universitaria, con la sua imponente Filosofia delle forme simboliche, e il giovane autore di Essere e tempo. In loro si scontravano due modi antitetici di intendere la filosofia. Gli studenti si schierarono apertamente dalla parte di Heidegger. Alla sera, in un teatro improvvisato, inscenarono una caricatura della disputa. Fu Lévinas, con i capelli imbiancati di farina, a recitare il ruolo del perdente Cassirer»
^E. Lévinas-B Casper, p. 23: «Essere e tempo di Heidegger è il punto nel quale la fenomenologia ha forse raggiunto il suo culmine [...] Lo ammetto sempre apertamente: anche se non ho potuto scusare lo Heidegger del 1933-34, né lo intendo scusare».
^E. Lévinas-B. Casper, p. 12: «Nel 1931 Lévinas acquisì convintamente la cittadinanza francese. Si trattava di entrare a far parte di un popolo – come egli ebbe a dire, ripensando alla propria vita – che difendeva l'umanità dell'uomo e al quale si poteva appartenere, in spirito e in cuore, come se in Francia si fosse nati».
^S. Malka, p. 150: «Lévinas assistette anche ai corsi di Alexandre Kojève all'École Pratique des Hautes Études».
^E. Lévinas, p. 58: «Ho avuto un rapporto approfondito con il pensiero talmudico piuttosto tardi, a contatto con M. Chouchani. Egli non mi ha infuso nulla del suo immenso sapere, né certo della sua incomparabile intelligenza, ma mi ha insegnato come si dovevano affrontare questi testi».
^ B. Spinelli, La colpa, il perdono, lo scandalo, su archiviolastampa.it, «La Stampa», 6 maggio 1992, p. 17. URL consultato il 2 gennaio 2016.
^ J. Derrida, Addio a Emmanuel Lévinas, traduzione di it. di S. Petrosino e M. Odorici, Milano, Jaca Book, 1998 [1997], p. 54, ISBN978-88-16-40469-4. URL consultato il 10 gennaio 2016.
«Addio fu un'allocuzione pronunciata, alla morte di Emmanuel Lévinas, nel cimitero di Pantin il 27 dicembre 1995»
^E. Lévinas-A. Peperzak, p. 34: «Per comprendere il non-io, occorre trovarvi un accesso attraverso un'entità, un'essenza astratta che, al tempo stesso, è e non è. È qui che si dissolve l'alterità dell'altro. L'essere estraneo, invece di mantenersi nella fortezza inespugnabile della sua singolarità, invece di stare di fronte, viene tematizzato e oggettivato. Si sussume già sotto un concetto o si dissolve in relazioni. Cade nella rete di idee a priori che io porto con me per captarlo. Conoscere significa cogliere nell'individuo che mi sta di fronte, in questa pietra che ferisce, in questo pino che si slancia, in questo leone che ruggisce, ciò mediante cui non è più questo individuo determinato che mi è estraneo, ma attraverso cui già tradendo se stesso, dà appiglio alla volontà libera che vibra in ogni certezza, si lascia afferrare e comprendere, entra in un concetto. La conoscenza consiste nel cogliere l'individuo che soltanto esiste, non nella sua singolarità che non conta, ma nella sua generalità, di cui solamente si dà scienza».
^E. Lévinas-A. Peperzak, p. 36: «Il Dasein – che Heidegger sostituisce all'anima, alla coscienza, all'Io – conserva la struttura dell'Identico».
^Cfr.E. Lévinas, pp. 21 e 23, laddove si legge: «L'apparizione di un esistente è la costituzione stessa di un dominio, di una libertà all'interno di un esistere che, di per se stesso, resterebbe per sua natura anonimo [...] Presente, 'io': l'ipostasi è libertà. L'esistente è padrone dell'esistere. Esercita sulla sua esistenza il virile potere del soggetto. Ha qualcosa in suo potere».
^Cfr. E. Lévinas-A. Peperzak, p. 32: «La libertà del ricercatore e del pensatore, sulla quale non pesa alcuna costrizione, si esprime nella verità. E cos'è tale libertà, se non il rifiuto dell'essere pensante di alienarsi nell'adesione, la conservazione della sua natura e della sua identità, il fatto di restare identico? In questa prospettiva la filosofia si sforzerebbe di ridurre all'Identico tutto quel che le si oppone in quanto altro, incamminandosi così verso una auto-nomia, verso uno stato in cui più niente di irriducibile verrebbe a limitare il pensiero, e in cui quest'ultimo, senza più limiti, sarebbe di conseguenza libero».
^E. Lévinas, p. 25: «Davanti all'Altro io mi tiro indietro».
^E. Lévinas, pp. 18-19: «Percepire l'Altro significa vedere la mortalità come tale [...] Il Volto dell'Altro significa richiamo per me, una chiamata. Non lo devo lasciar morire da solo. E neppure lo devo uccidere. C'è qui un comando e una proibizione [...] Comando e proibizione sono le 'sorgenti della responsabilità'. Ho una responsabilità per ciò che è in mio potere. È così. Per ciò che non rientra nello spazio della mia libertà. Sono... consegnato all'Altro ancor prima... di essere per me stesso».
^E. Lévinas-A. Peperzak, p. 55: «Bisogna pensare fino a questo punto l'«Io è detestabile» di Pascal»; cfr. B. Pascal, Pensieri, a cura di G. Auletta, Milano, Mondadori, 2012 [1669], pp. 278-279, n. 455, ISBN978-88-04-52169-3.
«L'io è odioso; voi, Miton, lo mascherate ma non per questo lo eliminate; voi dunque siete sempre odioso. – No, perché agendo cortesemente con tutti, come facciamo, non c'è più motivo di odiarci. – È vero, se nell'io si odiasse soltanto il dispiacere che ce ne viene. Ma se lo odio perché è ingiusto, perché si fa centro di tutto, lo odierò sempre. Insomma, l'io possiede due qualità: è ingiusto in sé, in quanto si fa centro di tutto; è spiacevole agli altri, in quanto li vuole asservire; infatti ogni io è il nemico e vorrebbe essere il tiranno di tutti gli altri. Voi ne togliete la parte spiacevole, ma non già, l'ingiustizia; lo renderete amabile soltanto agli ingiusti, i quali non trovano più in esso il loro nemico, e così rimanete ingiusto e potete piacere soltanto agli ingiusti»
^E. Lévinas-A. Peperzak, p. 58: «L'etica – come filosofia prima – significa attraverso l'ambiguità dell'identico che si dice io all'apice della sua identità incondizionata e anche logicamente indiscernibile, autonomia superiore a qualunque criterio; ma che proprio ora, all'apice della sua incondizionata identità, può pure confessarsi io detestabile».
^E. Lévinas-P. Nemo, p. 87: «Philippe Nemo: ‘In Totalità e Infinito lei parla a lungo del volto, uno dei suoi temi ricorrenti. In che cosa consiste e a che cosa serve questa fenomenologia del volto, vale a dire l'analisi di ciò che accade quando guardo altri faccia a faccia?’. Emmanuel Lévinas: ‘Non so se si può parlare di «fenomenologia» del volto, poiché la fenomenologia descrive ciò che appare’».
^E. Lévinas-A. Peperzak, pp. 26-27: «Il volto non viene conosciuto, ma non perché non abbia senso: non viene conosciuto perché il suo rapporto con noi non rimanda alla sua costituzione, e, per usare un termine husserliano, è anteriore a ogni Sinngebung. Questo senso che precede la Sinngebung, questa pienezza di senso anteriore a ogni Sinngebung, ma che resta relazione intelligibile, relazione non violenta, descrive la struttura stessa della creatura»; cfr. anche E. Lévinas-P. Nemo, p. 88: «Il volto è significazione, e significazione senza contesto. Intendo cioè affermare che nella rettitudine del suo volto altri non è un personaggio in un contesto. Di solito si è un ‘personaggio’: si è professore alla Sorbona, vicepresidente del Consiglio di Stato, figlio di un tale, tutto ciò che si trova nel passaporto, il modo di vestirsi e di pettinarsi. E ogni significazione, nel senso corrente del termine, è relativa a un tale contesto: il senso di qualcosa sta nella sua relazione a qualcos'altro. Il volto, al contrario, è senso da solo: tu sei tu».
^E. Lévinas-A. Peperzak, p. 26: «L'assoluta nudità del volto, questo volto assolutamente indifeso, senza schermo, senza abito, senza maschera, è tuttavia ciò che si oppone al mio potere su di esso, alla mia violenza, ciò che vi si oppone in modo assoluto, con una opposizione ch'è opposizione in sé. L'essere che si esprime, l'essere che mi è di fronte, mi dice no con la sua espressione. Questo no non è semplicemente formale, ma non è neanche il no di una forza ostile o di una minaccia; è l'impossibilità di uccidere colui che presenta questo volto, è la possibilità d'incontrare un essere attraverso una proibizione. Il volto è, per un essere, il fatto di coinvolgerci non all'indicativo ma all'imperativo, e così di essere esterno a ogni categoria».
^E. Lévinas, pp. 53-54: «Vi è qui una obbedienza stra-ordinaria – servizio senza servitù – alla dirittura del viso dell'altro uomo, il cui imperativo irrecusabile non deriva dalla minaccia e la cui autorità incomparabile comanda attraverso una sofferenza e si dice precisamente parola di Dio. È qui che probabilmente Dio viene all'idea!».
^E. Lévinas-P. Nemo, p. 89: «[Il volto parla] in quanto è esso stesso a rendere possibile, e a cominciare, ogni discorso. Poco fa ho rifiutato la nozione di visione per descrivere la relazione autentica con altri: proprio il discorso, e più esattamente la risposta o la responsabilità, è questa relazione autentica».
Bibliografia
Biografia
Salomon Malka, Emmanuel Lévinas. La vita e la traccia, traduzione di Claudia Polledri, Milano, Jaca Book, 2003 [2002], ISBN978-88-16-40636-0.
(FR) Joseph Cohen, Alternances de la métaphysique. Essais sur Emmanuel Lévinas, Paris, Galilée, 2009, ISBN978-2-7186-0778-8.
Federico Dal Bo, Ebraismo e filosofia. Lévinas e la comunità occidentale, in Riccardo Panattoni (a cura di), La comunità. La sua legge, la sua giustizia, Padova, Il Poligrafo, 2000, pp. 117-127, ISBN978-88-7115-131-1.
Carmen Dal Monte, Emmanuel Lévinas, in Paola Ricci Sindoni (a cura di), La filosofia ebraica del Novecento, Roma, Spazio Tre, 2007, pp. 223-235, ISBN978-88-7840-039-9.
(IT) Rita Fulco, Essere insieme in un luogo. Etica, politica, diritto nel pensiero di Emmanuel Levinas, collana Novecento, Milano-Udine, Mimesis, 2013, pp. 291, ISBN978-88-5752-082-7.
Una sintesi di Totalità e infinito, su conoscenza.rai.it. URL consultato il 27 luglio 2010 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). è offerta da Adriaan Peperzak in un'intervista per l'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche.