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Il Baccaglio (in sicilianobaccagghiu, lett. "morso per cavalli", dal verbo baccagghiari, "parlare per enigmi") era un gergo usato negli ambienti della malavita siciliana e dai cantastorie nelle rappresentazioni dell'Opera dei Pupi per trasmettere contenuti eversivi (o comunque invisi alla élite al potere). Questa "lingua inesistente" era fatta di espressioni ammiccanti, allusive e furbesche, spesso accompagnate dalla gestualità, che mettevano coloro che la utilizzavano al riparo da eventuali punizioni da parte delle autorità[1].
Secondo lo storico ed accademico siciliano Santi Correnti, nella seconda metà del XX secolo il baccagghiu tradizionale fu sostituito progressivamente dal cosiddetto mafiese, ossia il linguaggio della nuova mafia, che aveva ormai perso ogni caratteristica rurale e si era affermata come organizzazione affaristica a carattere internazionale con interessi nella speculazione edilizia, nel contrabbando e nel traffico di droga[1][2].
Alcune espressioni del baccaglio tradizionale
Abbuccàrici u brodu, lett. "rovesciargli il brodo addosso": uccidere;
Abbuccari u tiganu chî patati, lett. "rovesciare il tegame con le patate": denunciare;
Affigghiàrisi i causi, lett. "abbottonarsi i pantaloni": tacere;
Astutari, "spegnere": ammazzare;
Cacòcciula, "carciofo": unione di mafiosi, tenuti insieme come le foglie di un carciofo;
Giuseppe Maria Calvaruso, U baccagghiu : saggio di un dizionarietto etimologico del gergo parlato dalla mala vita palermitana, Acireale, Tipografia Popolare, 1918, p. 92, SBNPAL0240780.
G.M. Calvaruso, "U baccàgghiu" dizionario comparativo etimologico del gergo parlato dai bassifondi palermitani, Libreria Tirelli di F. Guaitoli - Catania, 1930