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Indice
Gneo Marcio Coriolano, in latino Gnaeus Marcius Coriolanus[1] (527 a.C.?), è stato un politico e generale romano generalmente conosciuto come Coriolano, membro dell'antica Gens Marcia, al tempo delle guerre contro i Volsci.
Biografia
Il giovane Gneo Marcio, non ancora Coriolano, partecipò come semplice soldato alla decisiva battaglia del lago Regillo, distinguendosi per il proprio valore, tanto da meritare la Corona civica per aver salvato da solo in battaglia un altro cittadino romano.[2]
Secondo Tito Livio[3] e Plutarco[4] a Gneo Marcio fu attribuito il cognome a seguito della vittoria di Roma contro i Volsci di Corioli, ottenuta anche grazie al valore del giovane patrizio; secondo altri storici il cognome indica che la sua famiglia fosse originaria della città stessa[senza fonte]
«Q. Marcius, dux Romanus, qui Coriolos ceperat, Volscorum civitatem, ad ipsos Volscos contendit iratus et auxilia contra Romanos accepit. Romanos saepe vicit, usque ad quintum miliarium urbis accessit, oppugnaturus etiam patriam suam, legatis qui pacem petebant, repudiatis, nisi ad eum mater Veturia et uxor Volumnia ex urbe venissent, quarum fletu et deprecatione superatus removit exercitum. Atque hic secundus post Tarquinium fuit, qui dux contra patriam suam esset.»
«Quinto Marcio,[5] comandante romano, che aveva conquistato Corioli, città dei Volsci, accecato dall'ira si recò presso i Volsci e ottenne aiuti contro i Romani. Sconfisse spesso i Romani, arrivando fino a cinque miglia da Roma, pronto a combattere anche contro la sua patria, respinti i legati inviati per chiedere la pace, vinto solamente dal pianto e dalle suppliche della madre Veturia e della moglie Volumnia, andate a lui da Roma, ritirò l'esercito. E questo fu il secondo capo, dopo Tarquinio, ad essersi opposto alla propria patria.»
L'Eroe della presa di Corioli
Nel 493 a.C., Consoli Postumio Cominio Aurunco e Spurio Cassio Vecellino, a Roma, per quella che sarebbe stata ricordata come la prima secessione, la plebe si era ritirata sul Monte Sacro.
La situazione era poi resa oltremodo complicata dalla necessità di definire un nuovo trattato (Foedus) con i Latini, compito che fu affidato al Console Spurio Cassio, trattato che da lui prese di nome (Foedus Cassianum), e dai preparativi bellici intrapresi dai Volsci, contro cui si decise di intraprendere l'ennesima azione militare, affidandola al Console Postumio Cominio.
Postumio Cominio iniziò la campagna militare guidando l'Esercito Romano contro i Volsci di Antium, città che venne espugnata. Successivamente l'Esercito Romano marciò contro le città volsce di Longula, Polusca e Corioli, tutte e tre conquistate dai Romani, quest'ultima con l'apporto decisivo di Gneo Marcio, tanto che Tito Livio annota:
«....L'impresa di Marcio eclissò la gloria del Console al punto che, se il trattato coi Latini, concluso dal solo Spurio Cassio in assenza del collega, non fosse rimasto inciso a perenne memoria su una colonna di bronzo, nessuno si ricorderebbe che Postumio Cominio combatté contro i Volsci»
Dai contrasti tra patrizi e plebei all'esilio
Intanto a Roma la prima secessio plebis e la conseguente mancata coltura dei campi aveva provocato un rincaro del grano e la necessità della sua importazione. Sotto il consolato di Marco Minucio Augurino e Aulo Sempronio Atratino, nel 491 a.C., Coriolano si oppose fortemente alla riduzione del prezzo del grano alla plebe, che lo prese in forte odio.
In effetti la contesa non riguardava tanto il prezzo del grano, ma il conflitto tra plebei e patrizi, con questi ultimi che ancora non si erano rassegnati all'istituzione dei tribuni della plebe, e cercavano in tutti i modi di contrastarne l'azione. In un contesto di feroci attacchi politici, Coriolano rappresentava l'ala più oltranzista dei patrizi, che propugnava il ritorno alla situazione antecedente alla concessione del tribunato ai plebei, e per questo motivo era attaccato violentemente da questi. Durante una di queste infuocate assemblee mancò poco che Coriolano fosse mandato a morte, gettato dalla rupe Tarpea.
«...A questo punto Sicinnio, il più impudente dei tribuni, dopo una breve consultazione con i colleghi, proclamò davanti a tutti che Marcio era stato condannato a morte dai tribuni della plebe, e ordinò agli edili di portarlo immediatamente sulla rocca Tarpea e di gettarlo giù nella voragine.»
Alla fine fu citato in giudizio dai tribuni della plebe, e a questo punto le versioni di Livio e Plutarco divergono. Secondo Livio[6], Gneo Marcio rifiutò di andare in giudizio, scegliendo l'esilio volontario presso i Volsci, e per questo motivo fu condannato in contumacia all'esilio a vita. Invece per Plutarco[7] Gneo Marcio fu sottoposto al giudizio del popolo con l'accusa di essersi opposto al ribasso dei prezzi del grano, e per aver distribuito il tesoro di Anzio tra i commilitoni, invece di consegnarlo all'Erario. Anche per Plutarco, la condanna fu quella dell'esilio a vita.
La guerra contro Roma
Gneo Marcio scelse di recarsi in esilio nella città di Anzio[8], ospite di Attio Tullio[9], eminente personalità tra i Volsci. I due, animati da forti sentimenti di rivincita nei confronti di Roma, iniziarono a tramare affinché tra i Volsci, più volte battuti in scontri campali dall'esercito romano, si sviluppassero nuovamente motivi di risentimento contro i Romani, tali da far nascere in questi il desiderio di entrare in guerra contro il potente vicino.[10]
«... Marcio e Tullo discutevano di nascosto in Anzio con i più potenti e li spingevano a scatenare la guerra mentre i Romani si combattevano tra loro. Ma mentre i Volsci erano trattenuti dal pudore perché le due parti avevano concordato una tregua e un armistizio di due anni, e furono i Romani a fornire loro stessi il pretesto, annunziando durante certi spettacoli e giochi, sulla base di qualche sospetto o falsa accusa, che i Volsci dovevano lasciare la città prima del tramonto. ...»
Alla fine i Volsci decisero per una nuova guerra contro Roma[11], ed affidarono a Coriolano e ad Attio Tullio il comando dell'esercito[12]. Quindi i due comandanti si risolsero a dividersi le forze, rivolgendosi Attio ai territori dei Latini, per impedire che portassero soccorso a Roma, e Coriolano a saccheggiare la campagna romana, evitando però di attaccare le proprietà dei Patrizi, così da fomentare la discordia tra Plebei e Patrizi. L'espediente ebbe successo, tanto da permettere ai due eserciti Volsci, di tornare nel proprio territorio, carichi di bottino e senza aver subito alcun attacco dai Romani[13].
Successivamente, mentre Attio proteggeva con il proprio esercito la città[14], Coriolano volse il proprio esercito contro la colonia romana di Circei che fu presa, mentre Roma non reagiva per il montare della discordia tra i due ordini[15].
Alla fine a Roma si decise di arruolare un esercito, e si permise agli alleati Latini di prepararne uno per proprio conto, in quanto Roma non era in grado di difenderli dalle incursioni dei Volsci[16]. Ai Volsci, che si preparavano alla guerra, si aggiunse poi la rivolta degli Equi[17]. Coriolano, al comando del proprio esercito quindi prese Tolerium[18], Bola[19], Labicum, Corbione, Bovillae e pose l'assedio a Lavinium,[20] senza che i Romani portassero aiuto a queste città.
Quindi Coriolano si accampò a sole cinque miglia dalle mura della città in località Cluvilie[21], dove fu raggiunto da un'ambasceria composta da cinque ambasciatori. Per tutti parlò Marco Minucio Augurino[22], senza però riuscire a far desistere Coriolano dal proprio intento; anzi i Volsci, sempre guidati dal condottiero romano, presero Longula, Satricum, Polusca, le città degli Albieti, Mugillae e vennero a patti con i Coriolani[23].
Leggermente diversa la versione di Tito Livio:
«Quindi conquistò Satrico, Longula, Polusca, Corioli, Mugilla, tutte città recentemente sottomesse dai Romani. Poi riprese Lavinio e di lì, raggiungendo la via Latina tramite delle scorciatoie, catturò una dopo l'altra Corbione, Vetelia, Trebio, Labico, Pedo. Infine da Pedo marciò su Roma e si accampò presso le fosse Cluilie, a cinque miglia dalla città»
Qui, alle porte dell'Urbe al IV miglio della Via Latina, dove si trovava il confine dell'Ager Romanus Antiquus (nei pressi dell'attuale Via del Quadraro), mentre i consoli del 488 a.C., Spurio Nauzio e Sesto Furio, organizzavano le difese della città, venne fermato dalle implorazioni della madre Veturia e della moglie Volumnia, accorsa con i due figlioletti in braccio, che lo convinsero a desistere dal proprio proposito di distruggere Roma[24].
«....Coriolano saltò giù come una furia dal suo sedile e corse incontro alla madre per abbracciarla. Lei però, passata dalle suppliche alla collera, gli disse: «Fermo lì, prima di abbracciarmi: voglio sapere se qui ci troviamo da un nemico o da un figlio e se nel tuo accampamento devo considerarmi una prigioniera o una madre.»
Morte
Tito Livio[25] riporta come non ci fosse concordanza sulla morte di Coriolano; secondo parte della tradizione, fu ucciso dai Volsci, che lo considerarono un traditore per aver sciolto l'esercito sotto le mura di Roma; secondo Fabio morì di vecchiaia in esilio.
Plutarco e Dionigi di Alicarnasso raccontano come Coriolano fu ucciso da una congiura, capitanata da Attio Tullio, mentre si stava difendendo in un pubblico processo ad Anzio, dove era stato messo sotto accusa dai Volsci per essersi ritirato, senza aver combattuto, da Roma.[26][27] Poi, però, fu dimostrato che l’azione non era affatto condivisa da tutti, sicché fu seppellito con grandi onori e il sepolcro di Coriolano, ornato con armi e spoglie, fu considerato dalla popolazione il sepolcro di un eroe e di un grande generale. I Romani, invece, non gli tributarono onori quando seppero della sua morte, né tuttavia gli serbarono rancore, tant'è vero che alle donne fu consentito portare il lutto fino a un massimo di 10 mesi.[28]
Cicerone, nel Brutus, nel paragonare Coriolano a Temistocle ne accomuna la sorte: si sarebbero entrambi tolti la vita una volta allontanati dalla patria.[29]
Critica storica
Secondo parte della moderna storiografia Coriolano rappresenta un personaggio leggendario, creato per giustificare le sconfitte dei Romani nelle guerre contro i Volsci nella prima epoca repubblicana, guerre che arrivarono a minacciare l'esistenza stessa di Roma. I Romani trovarono giustificazione delle loro ripetute sconfitte, nella credenza che solo un condottiero romano avrebbe potuto sconfiggere un esercito romano. La circostanza che Coriolano non appaia tra i Fasti consulares aumenta il dubbio che si sia trattato di un personaggio storico.[senza fonte]
Note
- ^ Per quanto il prenome Gnaeus sembra il più attendibile, le fonti sono discordanti: si trova talvolta appellato Gaius, talaltra Quintus. Verheijk, Hendrik. Eutropii Breviarium historiae romanae. Regno Unito, A. J. Valpy, 1821; p. 289
- ^ Plutarco, Vite parallele, Vita di Coriolano, III.3, pg. 123
- ^ Tito Livo, Ab Urbe condita libri, Lib II, par. 33
- ^ Plutarco, Vite parallele, 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XI, 1
- ^ Eutropio attribuisce a Coriolano il prenome Quintus. Verheijk, Hendrik. Eutropii Breviarium historiae romanae. Regno Unito, A. J. Valpy, 1821; p. 289
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 35
- ^ Plutarco, Vite parallele, 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XX, 4
- ^ Plutarco, Vite parallele, 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XXII, 1
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 1.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 36, 37, 38
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 9.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 11.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 12.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 13.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 14.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 15.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 16.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 17.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 18.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 19-20.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 22.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 23-28.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 36.
- ^ Appiano, Storia romana, Liber II, 3-5
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 40
- ^ Plutarco, Vite parallele, 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XXXIX
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 58-59.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 62.
- ^ Cicerone, Laelius de amicitia, XII, 42.
Cicerone, Brutus XLIII
Bibliografia
- Tito Livio, Ab Urbe condita libri II,33
- Plutarco, Vite parallele, Coriolano
- Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 14-15 (che lo chiama Quinto)
Ispirata pure alla vicenda di Coriolano è un'ouverture di Beethoven (op. 62, in do min.), composta per la tragedia teatrale omonima di H.J. von Collin.
Voci correlate
- Gens Marcia
- Volumnia
- Veturia
- Coriolano, tragedia di William Shakespeare
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Coriolano, Gneo Marcio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- Coriolano, Gnèo Màrcio, su sapere.it, De Agostini.
- (EN) Caius Marcius Coriolanus / Gnaeus Marcius Coriolanus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Gneo Marcio Coriolano, su Goodreads.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 60149294309280521736 · ISNI (EN) 0000 0004 8122 1680 · BAV 495/317465 · CERL cnp00546507 · LCCN (EN) n85196364 · GND (DE) 118522159 · BNE (ES) XX5035782 (data) · BNF (FR) cb149789004 (data) · J9U (EN, HE) 987007275094605171 · NSK (HR) 000358764 |
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